Limitare la resistenza al cambiamento con il Metodo Kanban

Iniziare la trasformazione da quello che stiamo facendo

“Start with What You do Now understanding current processes, as actually practiced respecting existing roles, responsibilities and job titles”

Indipendentemente dai framework, metodi approcci o filosofie e’ indubbio che quando si vuole iniziare una trasformazione o introdurre un qualsiasi cambiamento si debba fare conti con il problema della resistenza.

Su cosa porta le persone a resistere più o meno razionalmente a fronte di quali tiplogie di cambiamenti se ne discute in tantissimi contesti per lo più partendo dagli studi di Platone e Omero fino alla neuroscienza con Kahnemann e la teoria di Maslow ma non è lo scopo di questo articolo.

Credo che Peter Senge sia riuscito a trovare l’essenza di quello che io riconosco come una rappresentazione assoluta della realtà sul tema:

People don’t resist change. They resist being changed!

Allora per chi crede fortemente in questo principio, invertiamo i fattori e il gioco è fatto: portiamo le persone a cambiare da sole!!!

Piano… non era così che me la immaginavo!!! 

Ops, un piccolo problema,  andranno nella stessa direzione che pensavo io o che si sta immaginando chi vuole questo cambiamento.

Ahhh che brutta cosa, mi sto forse immaginando un modello spotify? A la Google? Less,  o magari quello del mio competitor?

Ma perchè semplicemente non partiamo da quello che stiamo facendo… e allora via!!!

“ehm … ma quello che facciamo veramente o quello che dovremmo fare?”. 

Il processo reale alla luce del sole 

La prima delle due locuzioni che accompagna il principio “…understanding current processes, as actually practiced” specifica che debba essere chiaro e condiviso il processo corrente realmente praticato. 

Le modalità con cui le persone svolgono le attività e come si coordinano tra di loro spesso non  rispettano gli eventuali processi che l’azienda ha disegnato e che “crede” vengano applicati. Quindi riconoscere qual è il vero processo e renderlo pubblico non e’ immediato. Il supporto dei coach o degli agenti della trasformazione e’ fondamentale perché immediatamente nasce il timore di essere “scoperti”. 

“Possiamo veramente rendere trasparente ciò che facciamo, le soluzioni che abbiamo trovato per migliorare il modo di lavorare? Nessuno verrà a contestare?”.

Il solo riconoscere e rendere pubblica la realtà comporta si (ops) un cambiamento mentale, che deve coinvolgere tutti coloro che si occupano o si sono occupati dei processi aziendali soprattutto se non sono parte attiva della trasformazione.      

“Tu giochi in porta!”

Nessun nuovo ruolo. 

La seconda locuzione che accompagna il principo e’ “…respecting existing roles, responsibilities and job titles”.

L’introduzione nuovi ruoli o la modifica di quelli esistenti, responsabilità e titoli corrisponde ad un cambio strutturale che scatena nelle persone situazioni di crisi e di instabilità. Tornando a Senge è una delle ultime cose a cui pensare.

“VABBE ALLORA NON FACCIAMO NULLA, voglio vederla sta trasformazione!!”

Cultura del miglioramento continuo prima di tutto.

Per evitare che l’adozione di questo principio autorizzi un approccio inerziale è necessario che  l’organizzazione sia preparata culturalmente e formata ad ogni livello per comprendere e condividere questo metodo, i principi pratiche e valori dell’Agile. Questo principio come gli altri non deve assolutamente essere isolato ma ha senso solo se in coesistenza con le  pratiche e valori e soprattutto con gli altri principi come il secondo principio Kanban: “Agree to pursue improvement through evolutionary change” che impegna le persone a perseguire in accordo un percorso di cambiamento evolutivo che verrebbe quindi violato da uno stato di inerzia.   

“Ok tutto bello ma in pratica?”

……………..

Kanban Method si preferisce a modelli tradizionali dove l’approccio e’ atto a sostituire “quello che si sta facendo” con un processo predefinito o progettato ad hoc, un modello dove la base di partenza e’ proprio il processo corrente proprio per evitare di introdurre troppi cambiamenti in una volta sola. 

………….

Si vuole anche rimuovere una tipica obiezione che viene da chi il cambiamento lo subisce e cioè che chi progetta il nuovo processo sia in qualche modo poco competente e sufficientemente esperto da comprendere tutte le complessità del dominio e le dinamiche di un flusso di lavoro che si e’ consolidato spesso in molti anni di attività. 

Non significa che l’approccio interventista viene condannato tout court, ma solo che l’esperienza sembra dimostrare che la sua applicazione porti risultati limitatamente in domini deterministici e ambienti produttivi. 

In settori complessi come servizi professionali, o comunque laddove esista una componente di lavoro intellettuale o creativo (ops .. forse si sta parlando di tutte le imprese moderne) c’e’ bisogno di un modello di gestione del cambiamento diverso che si basi sulla teoria evolutiva..

DOMANDA…. 

Riuscire a rappresentare e visualizzare il flusso permette fin da subito di estrarre informazioni e dati oggettivi con relativa semplicità e quindi immediatamente le persone saranno motivate a convergere  verso esperimenti atti a risolvere i problemi evidenti  che emergono o a migliorare.

Trovare tempo e spazio per permettere a tutti  livelli di poter discutere e sperimentare nuove iniziative e introdurre nuove pratiche fin da subito (feedback loop)   

Il compito del coach in un approccio di questo tipo assume molta importanza per fare in modo che il cambiamento sia guidato si dal modello ma soprattutto in linea con gli obiettivi aziendali che a loro volta evolveranno